Centrale rischi, segnalazione, difficoltà economica, assenza di criteri di verifica

Tribunale di Mantova, sentenza 27 maggio 2008

Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato in data 10-6-2004 P. U. affermava a) che nel periodo fra maggio e settembre 2003 aveva richiesto a diversi istituti bancari e ad alcune società finanziarie la concessione di un finanziamento e/o il rilascio di una carta di credito ma che tutte le sue richieste erano state respinte; b) che, insospettitosi per quanto stava accadendo e svolte alcune ricerche, era venuto a sapere che il suo nominativo era stato segnalato alla Centrale dei Rischi istituita presso la Banca d’Italia con effetto al 30-11-2002 da parte della Banca A. in relazione ad una sofferenza pari ad € 1.650,00 la quale, interpellata, aveva fatto sapere che la segnalazione si riferiva ad una esposizione derivante da un prestito commercianti erogato nel 1990 dalla Banca N. (successivamente incorporata nella Banca A.) ed in relazione al quale era rimasta scoperta l’ultima rata del rimborso pari a £ 1.549.272 alla data del 12-3-1997; c) che il conto presso la Banca N., aperto onde provvedere al rimborso delle rate del finanziamento -non sempre, ammetteva egli stesso, avvenuto nel rispetto dei termini- era stato tuttavia estinto nel marzo del 1996 dietro pagamento di quanto dovuto: di qui l’illegittimità del comportamento della banca per la segnalazione effettuata a così lunga distanza di tempo e senza che fossero state intraprese procedure per il recupero del presunto credito il che avrebbe fondato la pretesa al risarcimento dei danni cagionati all’immagine personale ed all’attività lavorativa.

Si costituiva la banca la quale chiedeva il rigetto della domanda deducendo che il debito residuo non era stato estinto essendosi solo provveduto a girare la partita a sofferenza e che inutili erano stati i tentativi di ottenere il pagamento del residuo, affidati anche a società specializzate per il recupero del credito.

Esperita l’istruttoria orale, la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni delle parti in epigrafe riportate.

Motivi
La domanda è fondata e merita accoglimento.

In termini di fatto va osservato che mentre la banca, alla stregua degli estratti del conto, ha continuato a sostenere che il P. (peraltro più volte moroso nel rimborso delle rate del finanziamento come documentato dalle numerose missive in atti) sarebbe tuttora debitore della somma di € 1.765,72 (con valuta 30-6-2004), l’attore ha sempre contestato siffatta circostanza, anche prima dell’instaurazione del presente giudizio, soprattutto con riguardo alla misura degli interessi applicati dall’istituto di credito.

Va inoltre ricordato che il P. (ora in pensione) all’epoca dei fatti era un dirigente industriale con stipendio pari a circa £ 1.500.000 nette mensili ed era comproprietario di un immobile adibito ad abitazione e che la banca tentò il recupero del credito in via stragiudiziale affidando il relativo incarico a due società specializzate che diedero atto del rifiuto del P., opportunamente interpellato, di versare ulteriori somme, comunicazioni a seguito delle quali la Banca N. provvide a girare la partita a sofferenza ed a effettuare la segnalazione alla Centrale Rischi.

Premesso che dalla documentazione dimessa dalle parti (in particolare la banca ha prodotto gli estratti del conto con l’indicazione di quanto versato dall’attore a titolo di capitale e di interessi) non si desume con assoluta certezza la prova dell’entità del debito dell’attore verso l’istituto di credito, occorre verificare la legittimità della segnalazione del suo nominativo alla Centrale Rischi.

In proposito va osservato che il servizio per la centralizzazione dei rischi bancari, istituito con delibera del Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio (CICR) del 16.5.1962 ed affidato alla Banca d’Italia, è oggi disciplinato dalla delibera del CICR del 29.3.1994 n. 429300, adottata ai sensi degli artt. 53, comma 1, lett. b, 67 co. I, lett. b e 107 co. II del d. lgs. 1 settembre 1993 n. 385 nonchè dalle istruzioni emanate dalla stessa Banca d’Italia consistenti nelle istruzioni di vigilanza per le banche, trasmesse alle aziende di credito e concernenti la “Centrale dei Rischi” e nelle specifiche istruzioni per gli intermediari partecipanti trasfuse nella circolare n. 139 dell’11.2.1991.

Va poi rammentato che le segnalazioni sono articolate per tipi di operazioni bancarie, prevedendosi una distinzione di queste in nove categorie di censimento, caratterizzate da una presunta diversità di rischio connessa con le caratteristiche tecniche delle operazioni medesime, tra le quali rientra quella delle “sofferenze” e, nell’ambito di tale categoria, devono essere segnalati tutti i crediti per cassa in essere nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili.

Va aggiunto che l’appostazione a sofferenza non può essere conseguenza automatica di un mero ritardo nel pagamento del debito e che tale tipo di annotazione non implica una previsione di perdita, ovvero di irrecuperabilità del credito, giacché, ove la previsione di irrecuperabilità divenisse attuale, il credito, già segnalato a sofferenza, dovrebbe essere in tutto o in parte spostato nella categoria di censimento crediti passati a perdita, con il relativo venir meno della sua iscrizione nella categoria delle sofferenze (cfr. Cass. 12-10-2007 n. 21428): in sostanza per insolvenza, ai sensi della richiamata disciplina, si intende una valutazione negativa della situazione patrimoniale, apprezzabile come deficitaria, ovvero come grave difficoltà economica, senza quindi alcun riferimento al concetto di incapienza ovvero di definitiva irrecuperabilità (v. Cass. 12-10-2007 n. 21428 e nella giurisprudenza di merito Trib. Pescara 21-12-2006; Tribunale di Roma, 25-11-2004 n. 31484; Tribunale di Milano, 17-3-2004; App. Milano, 4-11-2003; Trib. Bari, 22-12-2000).

Alla stregua delle precisazioni sopra riportate ne deriva che l’inserimento della posizione dell’istante nella categoria dei crediti in sofferenza era illegittima non risultando dagli atti che egli versasse in condizioni di difficoltà economica essendosi egli limitato a rifiutarsi di pagare spontaneamente quanto richiesto in via stragiudiziale dalla banca o dai soggetti da questa incaricati del recupero del credito.

Occorre precisare che la lesione arrecata per effetto della illegittima segnalazione è di notevole gravità comportando l’esclusione del segnalato dal credito bancario o comunque la difficoltà se non impossibilità di accedervi e che la banca incorre, in tal caso, nella c.d. responsabilità da inesatte informazioni che si connota sia come responsabilità extracontrattuale da fatto illecito ex art. 2043 c.c. sia come responsabilità contrattuale per violazione delle norme di comportamento esistenti tra banca e cliente ai sensi degli artt. 1175, 1374 e 1375 c.c., determinandosi un danno che si ritiene sussistere in re ipsa e che legittima pertanto il diritto al risarcimento senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova dell’esistenza del danno (Cass. 30-8-2007 n. 18316; Cass. 28-6-2006 n. 14977; Cass. 19-1-2001 n. 4881; Cass. 5-11-1998 n. 1103).

Va rammentato che la lesione del diritto all’immagine ed all’onore comporta il risarcimento oltre che del danno patrimoniale, se verificatosi, anche del danno non patrimoniale costituito dalla diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di specifiche categorie di essi con le quali il soggetto opera, danno quest’ultimo da liquidarsi in via equitativa ai sensi degli artt. 2056 e 1226 c.c. e che si verifica a seguito dell’inserimento della notizia lesiva per un tempo sufficiente a consentirne la percepibilità da parte di coloro di coloro che hanno accesso alla Centrale Rischi (v. Cass. 4-6-2007 n. 12929): tenuto conto della lunga durata della segnalazione (da novembre 2002 ad ottobre 2003), della circostanza che l’esiguità della somma iscritta a sofferenza ha avuto una maggiore efficacia lesiva della reputazione, essendo indice di uno stato di decozione pur di fronte ad un debito esiguo, nonché del fatto che all’istante venne ripetutamente negata la concessione di una carta di credito, appare equo riconoscere all’attore la somma, comprensiva anche di rivalutazione ed interessi legali (cfr. Cass. 17-1-2003 n. 608) sinora maturati, di euro 5.000,00 cui debbono aggiungersi gli interessi legali dalla data della sentenza sino al saldo definitivo.

Da ultimo va aggiunto che l’istante non ha invece provato di avere subito un danno patrimoniale sicché nessuna somma può essergli attribuita a tale titolo.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
il Tribunale di Mantova, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni altra domanda ed eccezione reietta, così provvede:

condanna la convenuta a corrispondere all’attore per le ragioni di cui in motivazione la somma di euro 5.000,00 oltre agli interessi legali dalla data della sentenza sino al saldo definitivo;

condanna la convenuta a rifondere all’attore le spese di lite liquidandole in complessivi euro 3.208,61 di cui € 208,61 per spese, € 1.200,00 per diritti ed € 1.800,00 per onorari, oltre al rimborso forfetario delle spese ex art. 14 T.P., ed oltre ad I.V.A. e C.P.A. come per legge.

Cosi’ deciso in Mantova, lì 27-5-2008.

[spoiler title=”Nota” open=”no”] Due le tematiche principali affrontate dai Giudici di Palazzo Spada, nella decisione n. 1739/2008:

1) la sussistenza della giurisdizione amministrativa con riguardo alle domande di risarcimento dei danni derivanti da mobbing, avanzate da pubblici dipendenti che trovino fondamento in violazione degli obblighi contrattuali;

2) i presupposti per il risarcimento del danno in tale ipotesi.

In merito al punto 1), la sez. VI ritiene che rientri nella giurisdizione del giudice amministrativo una controversia con la quale un professore universitario ha chiesto il risarcimento dei danni derivanti dal fatto che, a seguito della soppressione di un istituto universitario, lo stesso per circa due anni non sia stato assegnato ad una struttura dipartimentale.

Infatti, la controversia de qua rientra nella cognizione esclusiva del G.A. concernente le questioni attinenti al rapporto di impiego dei professori universitari ex articoli 3 e 63, comma 4 del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165; l’estensione di tale giurisdizione al risarcimento del danno, inoltre, è codificata dall’art. 7, comma 3 della legge n. 1034/71, come modificato con legge n. 205/2000.

I giudici, incidenter, specificano che la “pregiudiziale amministrativa”, ovvero il necessario previo annullamento dell’atto amministrativo, cui sia riconducibile la lesione, non può in ogni caso applicarsi a fattispecie di mera inerzia dell’Amministrazione.

Il Consiglio di Stato ricorda, in riferimento al punto 2), che la risarcibilità del danno derivante da mobbing può essere rivendicata dal dipendente interessato in due modi:

– in via extra-contrattuale, ai sensi dell’art. 2043 codice civile, con conseguente giurisdizione del giudice ordinario;

– in via contrattuale, tenuto conto dell’obbligo del datore di lavoro, riconducibile all’art. 2087 cod. civ., di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro .

In questo secondo caso sussiste la giurisdizione del giudice amministrativo – ove si tratti di rapporto di pubblico impiego non privatizzato – nella misura strettamente riconducibile ad un contesto di specifiche inadempienze agli obblighi del datore di lavoro.

Ai fini della configurabilità del mobbing per violazione degli obblighi contrattuali, le inadempienze possono ravvisarsi anche incomportamenti omissivi, contraddittori o dilatori dell’Amministrazione, ovvero in atti posti in essere in violazione di norme, sulle quali non sussistano incertezze interpretative, o ancora nella reiterazione di atti, anche affetti da mere irregolarità formali, ma dal cui insieme emerga una grave alterazione del rapporto sinallagmatico, tale da determinare un danno all’immagine professionale e alla salute del dipendente.

Secondo il CdS, con riferimento al caso di specie, la lesione subita dal diretto interessato è pacificamente riconducibile alla condizione di estremo disagio logistico e organizzativo in cui il medesimo ha dovuto espletare oltre due anni di attività, senza dubbio in corrispondenza dell’ingiustificato ritardo con cui è intervenuta la definitiva individuazione della struttura di riferimento per l’attività didattica del medesimo; l’assenza di colpa dell’Amministrazione al riguardo – trattandosi di responsabilità contrattuale – avrebbe dovuto essere provata dall’Amministrazione stessa che non ha viceversa fornito alcun elemento, atto ad escludere che l’inadempienza agli obblighi, sopra specificati, del datore di lavoro, fosse nella fattispecie riconducibile a cause, non imputabili all’Amministrazione stessa, nei termini esplicitati dall’art. 1218 cod. civ..

Pertanto, il GA accoglie la domanda di risarcimento dei danni avanzata nei confronti dell’Università di appartenenza dal professore universitario e quantifica in via equitativa il danno ex art. 1226 cod.civ..

(Altalex, 24 luglio 2008. Nota di Francesco Logiudice)
[/spoiler]